La (dis)informazione sui vaccini ai tempi dei social

Secondo uno studio pubblicato sulla Harvard Kennedy School Misinformation Review, i mezzi di informazione tradizionali, come tv e giornali, sembrerebbero essere più affidabili dei social moderni.

Chi si affida a Facebook, Twitter, Youtube e compagnia per informarsi sui vaccini rischia di essere peggio informato rispetto a chi ricorre ai mezzi di informazioni tradizionali, come tv e giornali. Questa è la conclusione che emerge da uno studio pubblicato sulla Harvard Kennedy School Misinformation Review da ricercatori del Annenberg Public Policy Center dell'Università della Pennsylvania. La ricerca è stata condotta, in un primo momento, tramite sondaggi su un campione di 2500 cittadini degli USA nella primavera del 2019, e ripetuta successivamente nell'autunno dello stesso anno, in contemporanea con il più grande focolaio di morbillo registrato negli USA negli ultimi 25 anni.

Dall'analisi delle risposte è emerso che il 18% degli intervistati credeva nel rapporto causale tra vaccini e autismo; il 15% affermava che sono pieni di tossine e il 19% era d’accordo con il fatto che è meglio sviluppare l’immunità ammalandosi piuttosto che tramite il vaccino. Secondo gli autori dello studio, chi ha assunto le informazioni tramite i media tradizionali ha avuto meno probabilità di produrre affermazioni antiscientifiche; infatti i mezzi di informazione come tv, radio e giornali controllano la fonte e l’attendibilità scientifica delle notizie prima di pubblicarle più spesso che non il mare magnum dei social, riflettendo di più i pareri scientifici sui benefici e la sicurezza dei vaccini.

La cattiva informazione sui vaccini sembra resistere nel tempo: la maggior parte di coloro che in primavera erano mal informati (81%) lo erano ancora in autunno, nonostante l’ampia copertura che giornalisti e CDC (Centers for Disease Control and Prevention) avevano dato all'epidemia di morbillo che aveva colpito nel frattempo la nazione. Inoltre, del 19% di intervistati che ha cambiato le proprie convinzioni tra i due periodi di indagine, il 64% è risultato peggio informato in autunno che in primavera.

Una riflessione finale degli autori, specifica che, nonostante non sia dimostrabile uno stretto rapporto di causa-effetto, l’indagine deve far riflettere sull'efficacia delle campagne nazionali di vaccinazione, sul ruolo degli operatori sanitari nell'affrontare la cattiva informazione, ultracompatto dei social sulla disinformazione e sull'utilità di aumentare la quantità di contenuti “pro-vax” nei media di tutti i tipi.
Allegati disponibili
Condividi questa pagina: